Negli ultimi mesi, l’intelligenza artificiale è uscita definitivamente dal mondo della sperimentazione per entrare in quello della regolamentazione.
Con l’approvazione definitiva della Legge n. 132/2025, l’Italia diventa uno dei primi paesi in Europa ad aver recepito e ampliato i principi dell’AI Act, il regolamento europeo che definisce il quadro giuridico per lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale in modo sicuro, trasparente e umano-centrico.
Questa legge nazionale, nata per adattare il Regolamento (UE) 2024/1689 al contesto economico e culturale italiano, non è solo un atto burocratico. È un segnale politico, tecnologico e strategico: il Paese intende essere protagonista nell’adozione etica e consapevole dell’AI.
L’AI Act europeo stabilisce un principio chiave: non tutte le intelligenze artificiali sono uguali.
Il regolamento introduce una classificazione basata sul rischio — minimo, limitato, alto, inaccettabile — e impone obblighi di trasparenza e sicurezza crescenti in base al livello di rischio.
L’Italia, con la sua Legge 132/2025, ha deciso di fare un passo in più.
Il testo approvato dal Parlamento non si limita a recepire le norme europee, ma aggiunge elementi specifici per il nostro contesto nazionale.
Si tratta di un vero e proprio “AI Act all’italiana”, con una doppia ambizione:
creare regole più chiare per le imprese e le pubbliche amministrazioni,
assicurare che l’adozione dell’AI sia coerente con i valori costituzionali di tutela della persona e dignità del lavoro.
In particolare, la legge italiana stabilisce principi cardine come:
centralità dell’uomo nei processi decisionali automatizzati;
supervisione umana obbligatoria per i sistemi ad alto rischio;
tracciabilità e trasparenza dei processi algoritmici;
protezione dei dati e sicurezza informatica integrata sin dalla progettazione;
valorizzazione della formazione come requisito strategico per ogni organizzazione che adotta soluzioni AI.
Per evitare la frammentazione normativa, la legge introduce un modello di governance multilivello.
Le competenze sono distribuite tra diverse istituzioni:
Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) – coordina l’attuazione e monitora i progetti di intelligenza artificiale nella pubblica amministrazione;
Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) – presidia la sicurezza informatica dei sistemi AI;
Garante per la protezione dei dati personali – supervisiona il rispetto delle regole di privacy e trasparenza algoritmica;
Comitato nazionale per l’intelligenza artificiale – istituito presso la Presidenza del Consiglio, con il compito di armonizzare strategie, linee guida e programmi di sviluppo.
Questo assetto mira a evitare sovrapposizioni e creare un centro di coordinamento unico, in grado di favorire sinergie tra ricerca, industria e pubblica amministrazione.
Uno dei punti più innovativi della legge è l’attenzione agli ambiti professionali e pubblici.
Nelle professioni intellettuali (avvocati, commercialisti, consulenti, architetti, giornalisti), l’intelligenza artificiale potrà essere impiegata solo come supporto operativo.
In altre parole, l’AI potrà suggerire, analizzare o ottimizzare, ma non potrà sostituire la valutazione umana.
Lo stesso principio vale per la pubblica amministrazione e la giustizia:
i sistemi automatizzati potranno accelerare i procedimenti o supportare la redazione di atti, ma la decisione finale dovrà sempre spettare a un funzionario o a un giudice.
Questa scelta non è solo etica ma strategica: preservare la responsabilità umana significa mantenere fiducia, accountability e trasparenza nei processi decisionali pubblici.
Se per il settore pubblico la legge rappresenta un nuovo modello organizzativo, per le imprese italiane è una vera e propria sfida di compliance e innovazione.
Le aziende dovranno:
Mappare tutti i sistemi di intelligenza artificiale utilizzati, identificando le aree di rischio.
Classificarli secondo la tassonomia europea (minimo, limitato, alto, inaccettabile).
Implementare controlli e procedure interne per garantire trasparenza, sicurezza e supervisione.
Aggiornare contratti e policy per includere clausole di responsabilità e protezione dei dati.
Formare i propri team su principi etici, legali e tecnici dell’AI.
In altre parole, la nuova legge richiede di passare da una logica “tecnologica” a una logica di governance dell’intelligenza artificiale.
L’adeguamento potrà sembrare impegnativo, ma rappresenta anche un’occasione di vantaggio competitivo: le imprese che sapranno anticipare la compliance saranno le più credibili agli occhi dei clienti e dei mercati internazionali.
L’AI Act italiano è anche un manifesto culturale.
Il legislatore ha voluto mettere al centro la visione antropocentrica dell’intelligenza artificiale: la tecnologia non deve sostituire l’uomo, ma potenziarne le capacità.
Questa filosofia si traduce in tre linee d’azione concrete:
formazione e competenze digitali, per colmare il divario tra chi crea e chi utilizza l’AI;
ricerca e innovazione sostenute con fondi pubblici e privati, per far nascere nuovi centri di eccellenza;
ecosistemi collaborativi tra università, startup e imprese, per accelerare la diffusione di soluzioni AI etiche e sostenibili.
L’Italia, con la sua tradizione umanistica, può essere un laboratorio unico al mondo per un’AI che coniughi etica e creatività, tecnologia e cultura.
Naturalmente, non mancano le sfide.
La legge italiana sull’AI è una cornice ambiziosa, ma molti dettagli operativi dovranno essere definiti con i decreti attuativi nei prossimi dodici mesi.
Rimangono aperte alcune questioni:
Come si coordineranno, nella pratica, le diverse autorità?
In che modo verranno monitorati i sistemi ad alto rischio nelle PMI, spesso prive di risorse specializzate?
Quali incentivi fiscali o contributivi verranno previsti per favorire la compliance?
Il rischio è che, senza chiarezza e sostegno operativo, l’AI Act resti “sulla carta” e diventi un freno più che una spinta.
Per questo sarà cruciale il ruolo di consulenti, formatori e hub di innovazione capaci di tradurre la normativa in azioni concrete e percorsi sostenibili per le aziende.
In un contesto in cui le regole cambiano rapidamente, la formazione è la vera chiave di sopravvivenza.
Le imprese che investiranno ora in competenze AI — tecniche, legali e strategiche — saranno quelle che domani sapranno integrare la tecnologia nei propri modelli di business in modo sicuro, efficace e conforme.
Oggi la domanda non è più “se adottare l’AI”, ma “come farlo responsabilmente”.
La nuova legge italiana e l’AI Act europeo forniscono la cornice.
Ma spetta alle imprese scegliere se subirla o trasformarla in opportunità di crescita.
In questo scenario di cambiamento profondo, BID Company si conferma come un punto di riferimento nel panorama italiano dell’innovazione.
Da oltre tre anni, attraverso il suo Generative AI Hub, BID accompagna aziende, enti pubblici e professionisti nel percorso di trasformazione digitale guidata dall’intelligenza artificiale.
Il Generative AI Hub di BID nasce come piattaforma di formazione, consulenza e sperimentazione sull’AI generativa.
L’obiettivo: aiutare le organizzazioni a comprendere, progettare e implementare soluzioni AI in modo strategico, etico e produttivo.
Nel corso di tre anni, il team ha lavorato con centinaia di imprese italiane — dalle PMI ai grandi gruppi industriali — supportandole nel:
comprendere il potenziale dell’AI generativa (ChatGPT, Claude, Gemini, Copilot, ecc.);
identificare use case concreti per marketing, operations, customer care, HR, R&D;
realizzare progetti pilota e proof of concept su modelli linguistici avanzati (LLM);
formare i team interni con percorsi personalizzati di AI literacy e AI governance;
integrare l’AI nei processi aziendali nel rispetto delle normative di privacy, sicurezza e trasparenza.
Ciò che distingue BID è l’approccio “AI con le persone, non al posto delle persone”.
La filosofia è coerente con i principi dell’AI Act: l’AI come alleato del talento umano, strumento per liberare tempo e creatività, non per sostituirli.
Attraverso workshop esperienziali, percorsi di formazione manageriale e progetti di co-design, il Generative AI Hub aiuta i team a sperimentare senza paura e a sviluppare una cultura interna basata su fiducia, responsabilità e curiosità.
Oggi, con l’entrata in vigore della Legge 132/2025 e dell’AI Act europeo, BID rafforza la sua missione:
affiancare le imprese italiane nella costruzione di modelli organizzativi e culturali conformi alle nuove regole ma, soprattutto, capaci di generare valore concreto.
L’obiettivo è chiaro:
trasformare la compliance in un vantaggio competitivo, e l’AI in una leva per innovare, crescere e distinguersi sul mercato.
L’Italia sta entrando in una nuova fase della trasformazione digitale: dalla corsa alla tecnologia alla cultura della responsabilità.
L’AI Act e la legge nazionale non sono un limite, ma una bussola per costruire un futuro in cui innovazione, etica e competitività possano convivere.
In questo percorso, realtà come BID Company e il suo Generative AI Hub rappresentano un alleato strategico per chi vuole fare le cose sul serio: non solo adottare l’intelligenza artificiale, ma farlo bene — con metodo, consapevolezza e visione.
Perché l’AI del futuro non sarà quella che pensa al posto nostro, ma quella che ci aiuta a pensare meglio.